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Regola di Tai e Vissà di Cadore
Via Manzago; , N.6
32044 - (fr. Tai di Cadore
Pieve di Cadore)
P.Belluno

tel. +39 349 5836411
info@regoladitai.it

Identità

In Cadore verso il XII° secolo si configura già una organizzazione giuridico amministrativa paragonabile con l'Ente attuale, dotato di quegli organismi che sostanzialmente esistono tuttora.

Sono operativi la fabula o Assemblea generale delle Famiglie regoliere; la banca cioè l'organo di gestione, formato dal marìgo (l'attuale caporegola), dai laudatori (gli amministratori); i saltaci (guardie forestali), con compiti di vigilanza sull'uso corretto dei boschi e dei terreni agricoli in genere, secondo le antiche tradizioni.

Come è tipico della civiltà contadina, al sorgere delle prime Comunità regoliere, molte norme erano state tramandate da una generazione all'altra per via orale. Col tempo si rese necessario, constatato l'ampliarsi delle consuetudini e l'avvento di nuove esigenze sociali, fissare per iscritto in un articolato, il compendio delle norme e delle usanze in uno Statuto, altrimenti chiamato Laudo , cioè approvato (laudato) dall'Assemblea generale, riunita tradizionalmente il Lunedì dopo Pasqua.

Il Laudo stabiliva l'obbligo della presenza dei Regolieri (rappresentanti delle Famiglie altrimenti dette "fuochi") alle Assemblee per assumere le deliberazioni sulla gestione della Regola.

Una prerogativa fondamentale dell'Assemblea era ed è l'accertamento dei requisiti per il riconoscimento del diritto di appartenenza alla Regola secondo il "vincolo agnatizio" (ossia per discendenza dei soggetti, in linea maschile, dagli antichi abitanti originari), ma anche, a determinate condizioni, per una certa durata di residenza continuativa sul territorio degli abitanti non originari e loro comprovata compartecipazione ed interessamento alle attività comunitarie.

Al riguardo è il caso di' osservare che l'acquisizione del diritto di partecipazione alla Comunità regoliera non poteva essere diversa in una società che, fino all'avvento della Repubblica Italiana (1946), non prevedeva alcun diritto di voto per le donne. Inoltre la sola residenza nel villaggio per un certo tempo del soggetto venuto da fuori, detto "foresto", non era sufficiente a fargli acquisire il diritto di partecipazione alla comunità se non fosse stato accompagnato dall'altro requisito della sua compartecipazione alle attività comuni. Il che, trattandosi essenzialmente di lavori agricolo-forestali, potevano essere svolti da persone stabilmente abitanti ed ammesse a tale partecipazione per volontà incontestabile dei Regolieri originari, che non avrebbero certo consentito ad un estraneo di andare con il proprio bestiame sui pascoli della Regola o prelevare legname nelle foreste della medesima.

Si tratta dunque di acquisizione di un diritto per decisione di chi ne disponeva e poteva concederlo e non per un automatismo (dimora stabile per un certo periodo). I singoli fuochi come tali partecipavano all'uso e sfruttamento dei beni collettivi, sia che fossero costituiti da molti membri o da uno solo e, quindi, ogni Famiglia disponeva nell'Assemblea di un unico voto. Questa fissava le norme di comportamento dei Regolieri, i tempi ed i modi nello svolgimento delle pratiche agro pastorali, l'uso dei fabbricati ed attrezzature pastorali, l'assegnazione di legname per la costruzione, il "rifabbrico", dell'abitazione alle nuove Famiglie e la manutenzione, il "fabbisogno", di quelle esistenti. Inoltre l'Assemblea generale provvedeva alla designazione elettiva dei Regolieri alle varie cariche di gestione del patrimonio, con durata periodica e differenziata per i vari compiti specifici di ogni servizio (marighi, laudatori, saltaci). Da qui derivò il nome di "Regola", ossia Comunità sorretta da una "legge" autodatasi democraticamente.

I compiti dell'Assemblea regoliera erano i più ampi e diversi e spaziavano dallo stabilire le modalità colturali delle terre agricole e pascolive, fissando i tempi e i periodi stagionali per la seminagione ed il raccolto delle granaglie, la fienagione e le pratiche del pascolo, sanzionando pecuniariamente chi vi trasgrediva; assegnando all'utilizzo diretto di Famiglie in particolari condizioni di bisogno, a rotazione quinquennale, porzioni del territorio regoliero, chiamati colonei, vincolare (vizzare) parti dei boschi al divieto di taglio delle piante per impedirne il dissesto idrogeologico, creando un'area protetta detta viza, e regolamentare il prelievo del legname per l'assegnazione ai Regolieri dei cosiddetti fabbisogno e rifabbrico necessari alla costruzione e restauro delle loro abitazioni private. Inoltre questo compendio normativo riportava gli obblighi cui erano tenuti ad osservare i componenti della Comunità col dare gratuitamente delle prestazioni lavorative per l'esecuzione delle cosiddette "opere di Regola". Queste consistevano essenzialmente nella costruzione e manutenzione di strade tra e negli abitati, di quelle campestri e forestali, nella regimazione dei corsi d'acqua, nella coltivazione e sfruttamento boschivo, nella formazione di nuove aree pascolive e seminatine da sottrarre al bosco mediante l'abbattimento delle piante, per la costruzione e manutenzione di malghe e casère, di
impianti d'uso collettivo quali molini e segherie e tutte le altre opere in genere necessarie alla vita comunitaria.

Queste prestazioni erano per norma obbligatorie a turnazione fra tutti i Regolieri, come quella dedicata alla vigilanza notturna dei villaggi per prevenire gli incendi, detta "de la bora guardia", ed in genere tutti gli interventi d'una certa entità cui non poteva far fronte la singola Famiglia.

E' bene ricordare che, al di la della preoccupazione di sanzioni eventualmente comminate dal capo Regola al singolo Regoliere poco collaborativo, gli abitanti erano naturalmente ben disposti ad aiutarsi vicendevolmente per le singole necessità individuali e collettive e per il generale progresso del proprio Paese.

Questa unità di intenti esplicata dalle generazioni stanziali ché si sono succedute nel popolare la montagna con una serie di insediamenti, ognuno dei quali formato da una aggregazione di case d'abitazione spesso plurifamiliari con annessi rustici (stalle e fienili), attorno ad una Chiesa più o meno spaziosa ed importante, hanno connotato il tipico paesaggio alpino, che ancor oggi si può individuare nelle Valli del Cadore.

Nei secoli passati ogni villaggio aveva quindi la propria Regola, organizzazione necessaria ed indispensabile, quale antico retaggio della primordiale società longobarda, per affrontare collettivamente le difficoltà date dall'abitare un territorio per molti versi ostile e con scarse possibilità di esercitarvi fruttuose coltivazioni agricole.